Noi, collettivi, organizzazioni, attivistə e persone migranti che formiamo la Carovana Abriendo Fronteras alziamo la voce per denunciare ancora una volta le politiche europee che violano i nostri diritti umani. Quest’anno andremo verso Calais (Francia). Si tratta di uno dei punti “caldi”, una nuova frontiera esterna del nostro spazio comune dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, e punto di partenza di molte persone che tentano di attraversare la Manica verso le isole britanniche.
Diversi rapporti documentano come gli insediamenti di persone migranti a Calais siano sistematicamente sgomberati dalla polizia, con oltre 950 evacuazioni violente solo nel 2020. Una pratica di persecuzione, violenza e criminalizzazione che si estende fino alle spiagge del nord della Francia.
In modo simile a quanto accade lungo le rotte migratorie verso la Spagna attraverso la frontiera sud, la pressione della polizia imposta dal governo britannico e tollerata dalle autorità francesi nella zona della Manica costringe le persone migranti a partire da luoghi sempre più remoti, aumentando il rischio di naufragi e morte. Dal 2000, oltre 400 persone sono morte nel tentativo di attraversamento: annegate, investite da treni o schiacciate nei camion nel tunnel della Manica.
In un contesto di evidente arretramento nel riconoscimento del diritto d’asilo e dei diritti umani, l’applicazione del Patto Europeo su Migrazione e Asilo (PEMA), promosso dalla Commissione Europea e ratificato dagli Stati membri — con un forte impulso durante la presidenza spagnola del Consiglio dell’UE e l’appoggio esplicito di quasi tutti i partiti del Parlamento Europeo — ha consolidato un nuovo livello nelle necropolitiche di frontiera.
Come denunciamo dall’inizio della sua elaborazione, questo patto rafforza un sistema di frontiere che uccide, legittima le violenze che denunciamo da anni e diffonde una cultura dell’odio. La sua approvazione ha portato con sé la proliferazione di discorsi xenofobi, razzisti, sessisti e coloniali. L’Europa è diventata un territorio sempre più militarizzato, sottomesso all’industria della guerra e della morte.
Il PEMA legalizza pratiche come la detenzione e il respingimento negli aeroporti, spesso senza accesso all’assistenza legale o a un interprete, e a volte senza nemmeno le condizioni minime di alimentazione e trattamento. Lo stesso vale per i Centri di Internamento per Stranieri (CIE)(CPR), i Centri di Permanenza Temporanea (CETI) e una rete di dispositivi repressivi con nomi diversi, ma accomunati da sovraffollamento e maltrattamenti alle persone appena arrivate.
Lo stesso accade fuori dai nostri confini. La Grecia e l’Italia, ad esempio, sono state banchi di prova per ciò che ora è diventato la norma: guardie costiere che abbandonano persone migranti su gommoni alla deriva, o accordi come quello tra l’UE e Libia o Tunisia, che finanziano centri di detenzione che operano come campi di tortura dove le persone vengono stuprate, schiavizzate e sottoposte a ogni tipo di abuso.
Il nuovo patto migratorio non solo legalizza queste pratiche: le istituzionalizza. Consente i respingimenti a caldo senza conseguenze giudiziarie, aumenta gli abbandoni in mare e normalizza la detenzione di famiglie e minori. Viola gravemente il diritto internazionale e i trattati di protezione dell’infanzia, mentre consolida un sistema di apartheid migratorio in cui l’Europa esternalizza le sue frontiere, finanzia regimi repressivi e trasforma Frontex — un’agenzia armata senza controllo democratico — in una macchina da guerra con un bilancio illimitato per violare i nostri diritti. L’Europa si militarizza con un programma insensato di riarmo e dibatte su un esercito comune, mentre ne ha già uno alle frontiere in una guerra contro le persone in movimento.
La conseguenza più brutale di queste politiche è che le rotte migratorie sono disseminate dei corpi senza vita delle nostre compagne, delle nostre famiglie che non sono mai arrivate. È il risultato diretto di un sistema globale alimentato da un’eredità coloniale, dallo sfruttamento del Sud Globale, dalla violenza strutturale e da un razzismo istituzionalizzato che permea ogni decisione politica.
Per questo, è urgente affrontare la mobilità umana anche da una prospettiva di genere. Le donne, le persone trans e le identità dissidenti vivono gli spostamenti in condizioni di doppia o tripla vulnerabilità: esposte a sfruttamento lavorativo, violenza sessuale, discriminazione istituzionale e razzismo. Le politiche migratorie rinforzano inoltre un modello patriarcale che invisibilizza e precarizza il lavoro riproduttivo e di cura — svolto in larga parte da donne migranti — senza riconoscerne il valore sociale né garantirne i diritti.
Il regresso dei diritti umani non è più una minaccia futura: è realtà.
Come accettare in silenzio il genocidio del popolo palestinese perpetrato dal regime sionista di Israele? Come normalizzare l’occupazione violenta dell’Ucraina o voltare lo sguardo davanti alla pulizia etnica che ha dissanguato i Balcani? La storia recente ci avverte continuamente che l’industria bellica, la militarizzazione e la spirale di guerra in cui è entrata l’Europa non sono la strada giusta, ma troppi governi scelgono di ignorarlo.
Noi, persone e collettivi di base, invece, ci impegniamo a difendere la libertà di circolazione, anche disobbedendo alle loro leggi disumane, rafforzando i legami tra gruppi solidali attivi alle diverse frontiere, per costruire rotte sicure.
I desaparecidos lungo le rotte migratorie, i corpi e le tombe senza nome raccontano il fallimento e la barbarie degli Stati. Alla tragedia del viaggio si aggiunge la disperazione delle famiglie che non hanno più notizie dei propri cari.
Molti collettivi sono impegnati ad alzare la voce insieme a queste famiglie, documentando luoghi e circostanze delle sparizioni. Ci impegniamo a facilitare momenti di incontro per esigere leggi che proteggano le famiglie delle persone scomparse e dare un nome ai corpi nei cimiteri d’Europa.
Di fronte alla negligenza deliberata degli Stati, dobbiamo costruire risposte collettive dal basso. Dove le istituzioni ci abbandonano o agiscono solo in base al controllo e all’esclusione, noi creiamo processi comunitari che curano, accompagnano, riparano e rivendicano diritti.
Denunciamo:
- Le morti alle frontiere: nel 2024 almeno 89 persone sono morte alla frontiera franco-britannica della Manica. Nei Pirenei catalani, giovani migranti investiti dai treni o abbandonati in paesi fantasma sono il risultato di politiche disumane. Secondo l’UNHCR, nel 2024 sono morti almeno 3.350 migranti tentando di raggiungere l’UE.
- L’esternalizzazione e la militarizzazione delle frontiere: filo spinato, controlli illegali, respingimenti e il business della guerra trasformano il Mediterraneo e i valichi terrestri in zone di morte.
- Il razzismo istituzionale e la criminalizzazione: persecuzione di migranti, attivistə e reti solidali (come il processo che si terrà a ottobre a Bayonne contro sette attivistə per aver aiutato migranti), mentre si perpetua un sistema che sfrutta ed esclude.
- Le violenze specifiche contro le donne migranti: sfruttamento lavorativo, abusi sessuali e totale indifferenza rispetto ai loro percorsi forzati.
E chiediamo:
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- Politiche migratorie incentrate sui diritti umani: chiusura dei CIE (CPR e CRA in Italia e Francia), fine delle deportazioni e rispetto del diritto internazionale.
- Annullamento del Patto Europeo su Migrazione e Asilo (PEMA).
- Vie legali e sicure: basta morti nella Manica, nei Pirenei, nel Mediterraneo, nell’Atlantico e alle frontiere interne europee.
- Regolarizzazione immediata: nessuna persona deve vivere nell’irregolarità imposta.
- Giustizia climatica e sociale: diritto a migrare e a non doverlo fare per guerre, povertà o crisi climatiche causate dai paesi del Nord Globale.
Dall’11 al 20 luglio 2025, attraverseremo le frontiere della Catalogna del Nord, Calais e i Pirenei per:
- Dare visibilità a realtà dimenticate, come Portbou e Cerbère, dove giovani sopravvivono tra binari e tunnel.
- Tessere reti con collettivi locali in Francia, Italia, Spagna e altri paesi europei, rafforzando la resistenza transfrontaliera.
- Fare pressione sui governi dell’UE con azioni dirette e alleanze internazionaliste.
Invitiamo la società, i media e i movimenti a unirsi a questa carovana internazionale di solidarietà.
Perché nessuna persona è illegale, perché le frontiere uccidono, e perché solo la lotta collettiva abbatterà i muri.
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